18 marzo 2011

questo blog chiude qui. fondamentalmente, perché non ci si accontenta più della luna. perché delle stelle o meteore che siano non ce ne frega più niente. perché i momenti lunghi anni passano e non ci appartengono più. perché neanche nello spazio virtuale riusciamo a starcene fermi e ci siamo stancati dei codici html per cambiare font ai post che poi non funzionano mai. perché tutto cambia e si trasforma dopo che la vita ci ha ingoiati, masticati e risputati cambiati. perché neanche noi sappiamo bene cosa siamo però continuiamo ad esserlo per quell’istinto che non ci abbandona mai. per abbondanza di parole che non vogliono saperne di starsene ordinate sulle pagine insieme alle altre più disciplinate, che appaiono solitarie su ogni superficie cartacea o no e poi si ritrovano magicamente bene insieme e si tengono per mano separate solo da un piccolo puntino, senza essere mai grandi, tutte alla stessa altezza in un’utopica uguaglianza totale, come se non ci fossero momenti più importanti di altri perché la vita è vita tutta e tutta va’ vissuta. per questo e altro questo blog continuerà altrove. forse sembrerà che niente sia cambiato e invece tutto è cambiato. a volte, forse, le parole qui presenti ritorneranno quando ci dimenticheremo di averle già scritte o perché proveremo le stesse sensazioni di un particolare istante di mille vite fa’. ma comunque tutto è cambiato lo stesso. e chissà se serviva davvero farsi la guerra.

le cronache da un'italia non troppo immaginaria saranno sul blog di http://santoalcontrario.altervista.org/

10 febbraio 2011

"A CHE COSA PENSANO QUESTI UMANI FRAGILI?"


delle nostre immense distanze misurabili in centimetri. delle nostre chilometriche vicinanze. di quando te ne sei andata senza lasciarti dietro neanche un ciao. solo il tuo profumo su tutte le lenzuola e le tue impronte sparse per casa. oppure dei treni che partono puntuali solo quando dobbiamo dirci addio. e l’ultima sigaretta ha sempre un sapore un po' strano. per il tempo spietato che ci ha portati via. adesso che è iniziato questo processo irreversibile del diventare grandi davvero e magari riusciamo anche a farcela. noi che comunque a volte riusciamo ancora a trovare la forza per farli tremare. quando mi guardi in quel modo chissa' a che cosa pensi. chissa' a chi pensi. tra i palazzi schierati per proteggerci o per manganellarci meglio, bambina mia. e le tue cronache da un’Italia immaginaria. le mie parole indecifrabili. se ci nascondiamo dietro altri nomi perché siamo veramente diversi. se lei e lui prima o poi se ne andranno via perché questo paese sta' diventando invivibile. se vogliono avere ancora tanto di cui ridere insieme. se questo è il governo delle puttane che ci meritiamo e non è neanche la cosa peggiore che ci stanno facendo. non è neanche la cosa piu' nauseante che stiamo vivendo. sapendo che possiamo cadere ancora più in basso di cosi'. se mi ami ora e questo ora mi fa’ così tanto schifo. chiudi la finestra sbarra le porte dimentichiamoci di tutto e di tutti come se ci bastassimo a vicenda come se il mondo intero potesse sparire di colpo e non esistere piu'. come se invece non avessimo dentro quel non so cosa che ci fa’ interessare infuriare disgustare. penso che ho di nuovo i brividi e mi lascio prendere da domande inutili. e ti porterei a sorridere dove non siamo che noi.

22 gennaio 2011

di Eravamo e di Siamo che poi si scoprono essere fratellastri


la felicità che sta dietro ad un letto sempre disfatto e i tuoi occhi in cui naufragare. nelle sere in cui non ci importa di niente. non delle lettere di licenziamento come dichiarazioni di guerra né di tutti gli altri che sono stati rispediti indietro oppure mandati dove saranno per sempre irraggiungibili. dice che il suo nuovo lavoro in fondo non è nient'altro che essere ciò che non è. dopo il turno serale registra a notte fonda e sarà per questo che spesso sussurra. e il tutto sembra sempre così incomprensibile e invece poi arriva sempre una frase che ti svela il senso e cazzo era proprio là e o ti fa' sorridere o ti fa' quasi piangere. c'è quel pezzo registrato un pomeriggio in spiaggia in cui ad un certo punto si sente le tua voce che gridi da lontano. eravamo tutti allegri e spensierati. era il periodo delle vene ancora intere e delle prime occupazioni. dopo i nostri sogni sono naufragati e morti anneggati mentre cercavano di attraversare su un'imbarcazione precaria quella striscia sottile tra la sponda dell'adolescenza e quella dell'età adulta. poi abbiamo dovuto trovare qualcuno che ci aiutasse a costruircene di nuovi e alcune parole ci sono rimaste conficcate dentro. adesso copri il tatuaggio e metti il piercing in tasca prima di entrare in ufficio. mentre G non ha ancora deciso cosa cazzo fare e dice che dobbiamo allargare le nostre vedute però mi sa che non si allontanerà mai da quei quattro angoli. gli arrivederci detti a denti stretti che poi erano degli addii. quando per inseguire quello che avremmo desiderato essere ci siamo ritrovati completamente soli e i palazzi e i cieli erano alti e grigi come nei peggiori bianco e nero. era per noi che anche a continenti di distanza ci sentivamo respirare e sapevamo cosa volevamo ma cazzo adesso non sapremmo proprio immaginare dove andremo a finire o forse non osiamo proprio farlo. e corriamo per non fermarci a morire perchè noi non faremo la fine dei nostri genitori. però magari ricominciamo anche a volare. e comunque siamo ancora tutti vivi a parte qualcuno.

29 dicembre 2010

E ADESSO PUOI RINCHIUDERTI NEL BAGNO A VOMITARE LE TUE POESIE


e infatti sono andati via tutti. a malincuore ed esalando un primo sospiro di sollievo. come si lascia la prima donna amata. come si lascia una madre ad invecchiare in un ospizio scadente. e noi testardi e folli idioti ancora innamorati del mare. figure in dissolvenza nel niente di fatto. mentre altri futuri e altri scontri esplodono nel cielo distillato della vostra calma apparente. si capiva a prima vista che si era trasferita a bologna dal senso di emulazione di gesti irripetibili che si portava addosso. e poi perchè tutti i suoi vestiti odoravano di fumo buono. di quello che noi non ci possiamo mai permettere. come i nostri obiettivi troppo costosi. accontentarsi. accontentarsi. accontentarsi. che poi quand'è che i soldi hanno iniziato ad essere un fattore così importante per le nostre vite? e il cielo è sempre più nero, altrochè. e la rivoluzione se è un gioco non possiamo più concedercelo. che la nostra è più che altro una vita violentata. e nonostate tutto ammettere di essere felici così come si ammette una colpa. per il ruolo che ci siamo scelti o che più semplicemente ci siamo ritrovati appiccicato addosso. come quando mi dici che il nero mi donava di più e allora non hai capito un cazzo. ma tanto il passato è come quelle parole su fogli impolverati che ritrovi in fondo ai cassetti e che non ricordavi neanche di avere scritto.

6 dicembre 2010

DI RICORDI INTERMITTENTI E DI FUTURI ABBOZZATI


e anche quando non c'è più niente da fare resta comunque tanto da dire. è la città che ci ingravida di parole. è questo amore che ci infebbra la vita. ed è quello che ti meriti. però ricordati dei nostri peccati passati e di tutte le volte che ci siamo squarciati le braccia nei quartieri neri. erano vie intitolate a uomini di stato poeti artisti santi e altri nomi di gente a noi sconosciuta. essere sinceri ed essere insensibili. l'inestimabile valore di questi pezzi di carta che non sanno volare. che ci venivano incontro le madri rimaste orfane di figli spariti ormai per sempre. essere spietati ed essere comprensivi. incomprensibile è questo bisogno di trovarsi da una qualche parte della barricata e non riuscire invece a vivere al di fuori di tutto senza averne paura. tengono i negozi aperti tutta la notte per noi che non abbiamo un centesimo. le luci di natale e le lacrime di dicembre per noi che non abbiamo un cazzo da festeggiare. arriverà un giorno e sarà interminabile. sarà per noi che parliamo da soli e per tua madre non ha più niente da raccontare. esplodono in terra quei nostri amori che ci sembravano epocali e invece erano solo un' ouverture tra l'altro male interpretata. e sopravviveremo ancora ai nostri ricordi intermittenti ai futuri abbozzati e ai versi delle canzoni come manganelli della polizia.

28 novembre 2010

"CHE BISOGNA ESSERE FOLLI PER ESSERE CHIARI"


ci sono questi palazzi enormi che sono come cattedrali moderne. e noi due a camminarci in mezzo per proteggerci dal vento e dalla polizia della gente per bene. parlando di progetti futuri che non riescono ad oltrepassarli e restano ad aleggiare improbabili a circa due metri d'altezza dall'asfalto ancora asciutto. le nostre vite in cassa integrazione per sei mesi un anno e poi chissà. la disintegrazione delle nostre insicurezze interiori. a colpi di abbracci e di discussioni vagheggianti su cosa penserebbe Pasolini della televisione di oggi. e di notte certi botti che non sai mai se sono fuochi artificiali lontani oppure spari sotto casa. girato l'angolo c'è un presidio al giorno di neodisoccupati e i neolaureati che ci passano davanti a testa bassa. lo sguardo ad un asfalto nero come il futuro ma poi chissà. magari a noi andrà meglio. che poi con tutte queste fabbriche abbandonate è un peccato che per noi non sia più tempo di rave. che sia sempre tempo di pagare l'affitto. per un altro inverno senza riscaldamento. per andare ai concerti con le bottiglie di vino nella tua borsa. che vivere costa sempre troppo e a volte noi non potremmo proprio permettercelo. dovremmo accontentarci di esistere. e i ritardi gli scontri questi eserciti di quattro cinque persone che se ci pensi bene siamo un po' in guerra anche noi. partiremo senza salutare e torneremo solo dentro a un libro. per rifarci ancora le anime e non avere più niente da invidiare a dio. per questi amori che sono una dichiarazione di guerra alle tristezze e alle solitudini indesiderate. una guerriglia suburbana per un irrinunciabile diritto ad essere. ci troveranno armati e inconsapevoli. ci sorprenderanno spensierati disperati e sorridenti. e non avremo scampo o forse chissà potremmo anche farcela.

27 ottobre 2010

L'ESAGERAZIONE DELLE TRE LETTERE N O I. CI VORREBBE UN PRONOME PER INDICARE SOLO ME E TE E NESSUN ALTRO


e non ci eravamo mai presi sul serio. nè noi nè quel nostro modo di mancarci appena. ma adesso i nostri occhi hanno sguardi migliori e niente su cui posarsi quando nelle nostre camere lontane regnano silenzi che sono imperi che cadono al suono delle nostre suonerie personalizzate. la musica che anticipa la tua voce. la colonna sonora delle nostre conversazioni infinite. abituarsi alle sirene della polizia che esplodono improvvise come un urlo che squarcia la calma della domenica. nel silenzio surreale della città. la città sporca del sangue incrostato del sabato notte. ai colloqui di lavoro non ci vado neanche più vestito bene. tanto alla fine non ci faranno mai sapere niente. ti richiamo dopo. dopo che avrò deciso cosa fare della mia vita. quindi richiamami tu che io potrei non farlo mai. e come spiegarti il modo in cui queste storie si impadroniscono della realtà. come un mondo immaginario possa a volte rapire e lacerare chi lo concepisce. forse perchè non è esattamente fantasia. e perchè continuare a farlo non so proprio dirtelo. so solo che lo faccio anche se non vale niente in termini economici quindi pratici quindi significativi.